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La Corte d’appello di Brescia, con la sentenza n. 320 del 2 dicembre 2022 (a questo link), in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Sindaco di un Comune del bresciano, il suo vice e l’assessore alla Polizia Locale, per discriminazione sessuale nei confronti di due dipendenti donne, che occupavano il ruolo di responsabile dell’ufficio tecnico e comandante della polizia locale.
La responsabile degli uffici e dei servizi "Area Sviluppo, governo e servizi al territorio", aveva comunicato nella primavera del 2020 al Sindaco del Comune di essersi legata sentimentalmente ad una collega, allora comandante della polizia locale. Una relazione, la loro, che nel giugno 2020 si era consolidata ufficialmente con l’unione civile celebrata in un vicino Comune.
Immediatamente dopo la dirigente era stata sollevata dal ruolo con la "scusa" della rotazione degli incarichi mentre la comandante della polizia locale aveva subito pressioni tali da indurla alle dimissioni.
La Corte di Appello di Brescia ha accolto il ricorso presentato da una delle dipendenti, dichiarando discriminatoria sulla base dell’orientamento sessuale la condotta dell’Ente che non ne aveva confermato la nomina a responsabile di un ufficio -a seguito dell’unione civile della ricorrente con la Comandante della polizia locale - condannando l’Ente al risarcimento del danno.
A sostegno della presunzione di discriminazione nei confronti della lavoratrice, la Corte ha considerato sia i contenuti pubblicati sui social network da parte degli assessori del Comune, i quali avevano pubblicavano post denigratori nei confronti delle coppie omosessuali, sia il mancato rinnovo dell’incarico alla moglie della dipendente, costretta poi alle dimisisoni.
Valutati come precisi e concordanti gli elementi allegati a dimostrazione della discriminazione, la Corte d’Appello ha ritenuto insufficienti le giustificazioni dell’Ente, basate sul criterio di rotazione degli incarichi, tenuto conto che in nessun altro caso, precedente o successivo, il Comune aveva applicato il medesimo criterio.
Importante ai fini della decisione, ancora, la testimonianza dell’ex Sindaco del Comune, la quale ha ricordato che "nel corso di una riunione della giunta nel 2018, dove era stata comunicata la notizia che la XXXXXX sarebbe stata nominata capo della polizia locale, era stata sollevata la questione dell’orientamento sessuale in un clima da bar ed erano stati fatti commenti provenienti da “uomini presenti” che avevano detto che assumere un comandante con quella tendenza sessuale avrebbe comportato il rischio di vedere scene di effusioni tra donne".
L'art.28 del D. Lgs. n.150/2011, che regola la speciale azione contro la discriminazione, dispone che "quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione....".
La norma introduce un regime probatorio alleggerito in favore del soggetto discriminato, nel senso che quest'ultimo deve provare il "fattore di rischio" ed il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti non portatori del "fattore di rischio", deducendo una correlazione significativa fra questi elementi che renda plausibile la discriminazione (Cass. Civ. n.1/2020).
Spetta poi al convenuto superare questa "plausibilità", fornendo elementi di prova idonei a dimostrare che l'atto o la condotta censurati come discriminatori derivano da fattori del tutto estranei a quello di rischio.
Prova che, nel caso specifico, il Comune non ha offerto, venendo condannato dalla Corte di Appello al pagamento del risarcimento del danno.